Suona la campanella e tra nuvole di incenso esce il clero, presieduto dal parroco di Vighignolo. Siamo in un anno non precisato, tanto tempo fa; il venti gennaio, festa di San Sebastiano, in San Sebastiano, oggi quattro pareti e un campaniletto in bilico tra il cimitero di Vighignolo e la via Novara. “Sebastiani martyris / Concivis almi, supplices / diem sacratum vocibus / canamus omnes debitis”(1), intona il curato salmodiando. Il giorno della festa, neve sì neve no, si apriva la chiesa e vi si celebrava solennemente l’ufficio del patrono.
“Mam, ma chi l’era san Sebastian?”.
La mamma sbuffa impercettibilmente e poi racconta la storia del santo, che sa a memoria perchè ogni anno il panegirico del curato non brilla di novità.
Imbacuccata nella mantella, perchè ci son cinquanta centimetri di neve e l’unico fuoco è quello delle candele, risponde: ”L’era vun de Milan, che l’è mort a Ròma, masà dal’imperatur Dioclesiano parchè l’era cristian. T’al sé m’han fà a masàl? Varda quel quader là: el San Sebastian l’è quel ligà al pal, tutt sbusà cunt i frécc”. Il curato sta giusto cantando “Fit silva corpus ferrea / sed aere mens constantior”(2). “El san Sebastian l’è da semper, se ghe disen, el patrono de Vighignoeu; e quand gh’è de domandà protesiun per i besti, bisogna dighel a lu, che l’è el sò prutetur. Ma no dumà i besti: anca i omen, a Milan, una volta i a salvà de la peste, quand gh’era anmò el San Carlo” “Luem fugando civium / tuere clemens corpora...” (3). Il vespro continua; il curato tuona contro le bancarelle che ci sono fuori e soprattutto contro le danze che distraggono in particolare le fanciulle.
Ma fa frddo e bisogna pur scaldarsi in qualche modo!
Invita piuttosto a dare l’offerta per le messe di San Sebastiano, una raccolta straordinaria dei pochi centesimi che i contadini potevano dare; se l’obolo raggiungeva la lira, si aveva diritto ad una messa per i propri defunti. Altrimenti veniva accesa una candela lungo le pareti della chiesa (e così ogni tanto bisognava tinteggiare le pareti). E’ da notare che queste pratiche erano seguite anche dagli abitanti dei paesi vicini; che evidentemente partecipavano anche alla festa fuori della chiesa. Anzi: addirittura il Gamba de legn (il trenino che partiva da corso Vercelli a Milano e arrivava a Magenta e Castano Primo) faceva una fermata apposita e fuori programma all'altezza della cappella. La gente scendeva, faceva un giro nella chiesa, buttava un occhio sulle bancarelle e magari acquistava un firun di castagne; riprendevano poi il tramway nella direzione opposta e tornavano a casa.
Ma da quanto tempo esisteva quella chiesa?L’usanza di costruire chiese con vicino il cimitero fuori dai paesi era propria dei Longobardi: ci immergiamo quindi nell’Alto Medioevo, anche se la prima volta in cui essa compare in un documento risale al 1288. La cappella fuori dal paese era però un po’ scomoda e così nel 1445 il signore più in vista di Vighignolo, Zanino Meraviglia (la cui famiglia diede il nome alla via milanese che va dal Cordusio a corso Magenta) finanziò la costruzione di Santa Maria Nascente e la riedificazione di San Sebastiano, facendola anche adornare di pitture. La posizione della chiesa continuava ad essere sfavorevole: nelle oscurità delle notti di antico regime, infatti, il portico che si trovava davanti alla porta diventava un riparo per ladri e disperati che percorrevano la strada regia. Probabilmente il cardinale Federico, quando sentì dal parroco (era il 1604) questa notizia, aggrottò le sopracciglia e nei decenni successivi il portico scomparve. Federico ordinò anche di smetterla con le bancarelle davanti alla chiesa il giorno della festa, ma la cosa cadde nel dimenticatoio; e aggiunse di non dare alle bestie l’erba raccolta nel cimitero, ma di bruciarla sul posto. Probabilmente i vighignolesi le attribuivano un potere magico, oppure la trovavano più...nutriente per le loro vacche, sempre piuttosto magre. L’arcivescovo brontolone aveva da ridire anche sul comportamento del parroco, o meglio dei parroci: fino al 1653 a Vighignolo infatti la cura d’anime era affidata a un paio di frati francescani. Siccome però essi avevano un pozzo nel cortile, la loro casa era un porto di mare, soprattutto frequentato dalle tradizionali addette ai trasporti d’acqua, cioè le donne.
Tutte queste cose la mamma interrogata dal figlio durante il vespro non le sapeva. Ma probabilmente gli avrà raccontato dei cunicoli segreti che partivano dal pavimento della chiesa e di storie di spiriti abitanti nel cimitero; e avrà concluso con una filastrocca campanilistica, destinata a rinsaldare l’amor di patria vighignolese soprattutto al confronto con i più immediati vicini, gli abitanti delle Torrette: “Vighignoeu bell bell / a Pregnana gh’ hin i stell / a Curnaré i sandalitt / ai Turett i buascitt”.
- “Supplici cantiamo la debita lode del giorno sacro al nostro santo concittadino Sebastiano”
- “Il corpo diventa una selva di ferro, ma la sua mente è più salda del bronzo”.
- “Allontanando il morbo custodisci clemente i corpi dei tuoi concittadini”
Versi tratti dall’Inno a San Sebastiano (Breviarium Ambrosianum, ediz. 1901)
|